Di Andrea Persi
Quando, nel 1981, un gruppo di volenterosi ex soldati inglesi rapì Ronnie Briggs, autore della grande rapina al treno Glasgow-Londra del 1969 dalla sua residenza in Brasile, fu costretto a liberare il loro prezioso ostaggio, su cui pendeva una ricca taglia, a causa di un guasto alla loro barca al largo delle Barbados, che permise a Briggs di restare libero per altri vent’anni e aggiungere un nuovo capitolo alla sua rocambolesca vita che gli aveva fatto guadagnare migliaia di ammiratori fra cui la band dei Sex Pistols che lo vollero come interpreti dei controversi brani No One Is Innocent e Belsen Was a Gas. Un piccolo esempio di come il lato “anarchico” delle tutti noi sia attratto da canaglie che “fottono” il sistema e che al cinema ha dato grandi spunti per personaggi come la coppia di sicari Ray e Ken di In Bruges o la scanzonata banda di Daniel Ocean. Ora è il turno di Edgar White, regista della famosa “trilogia del cornetto” (così chiamata perché in ogni pellicola appariva un cornetto gelato di un differente sapore, formata dai film L’alba dei morti dementi, Hott Fuzz e La fine del mondo) e qui anche sceneggiatore raccontarci, assieme al direttore della fotografia Bill Pope (Spiderman 3, Il libro della Giungla) e a quello delle musiche Steven Price (premio Oscar per Gravity) la storia di un rapinatore molto particolare.
Atlanta. Baby (Ansel Elgort) è un venticinque anni, sofferente, a causa di un incidente d’auto, di una forma di acufene che gli provoca un persistente fischio alle orecchie che può sopportare solo ascoltando musica, attraverso i numerosi ipod che porta sempre con sé. Il ragazzo, che vive col padre adottivo, sordomuto e invalido Joseph (CJ Jones) è anche un asso del volante, talmente abile da aver attirato le attenzioni del boss criminale Doc (Kevin Spacey) che lo coinvolge suo malgrado in rapine sempre più pericolose, nonostante che il giovane, innamoratosi della cameriera Debora (Lily James), sia sempre più determinato a lasciare quella vita.
Un film che si gioca tutto sul binomio tra azione e musica, pensiamo alla sparatoria del magazzino a ritmo di Tequila dei The Champs o allo scontro finale nel garage su quelle di Brighton Rock dei Queen, ispirandosi, come suggerisce anche il titolo a Drive di Nicholas Renf per l’atmosfera noir, all’ormai interminabile saga di Fast and furious per gli spettacolari inseguimenti in auto e, per le rapine compiute a ritmo di musica e l’atmosfera surreale, al cult degli anni ’90 Hudson Hawke – il mago del furto: se il protagonista Bruce Willis aveva mania compulsiva quella cappuccino con la schiuma, qui Elgort, peraltro quasi sempre vestito con felpa chiara e giacca scusa senza maniche, come il mitico Han Solo, ha quella occhiali da sole. Infatti, accanto a molte situazioni comiche, come il sopralluogo sul luogo del prossimo colpo che Baby deve fare con Sam, il precoce nipote di Doc e alcuni personaggi piuttosto fumettistici che sembrano usciti dalla saga creata da Rob Cohen, pensiamo alla coppia di criminali Buddy e Darling (Jon Hamm, famoso tra i fan della serie per lo speciale natalizio di Black Mirror, Bianco Natale e Eliza Gonzalez) o all’instabile, ma astuto, Matto (Bats in originale) interpretato da Jamie Foxx, la pellicola assume più di quanto ci si aspetterebbe i toni del dramma, come nei flashback che ci raccontano l’infanzia di Baby o nelle scene in cui il protagonista è sottoposto alle pressioni e alle minacce del perfido Matto.
Più nel dettaglio, la storia passa dall’ action movie ironico, alla storia d’amore vagamente ispirata La La Land, anche Debora fa la cameriera e gli abbinamenti cromatrici dei vestiti che rotolano nei cestelli nella scena della lavanderia ricordano quelli usati da Linus Sandgren in alcune scene del film di Chazelle, fino a un noir crudo, quasi tarantiniano e lo fa in maniera così frenetica e avvincente che lo spettatore non ha davvero il tempo di annoiarsi, nonostante un finale non pienamente leggermente forzato e una sottotrama romantica eccessivamente melensa.
Se il protagonista Elgort che aveva già dimostrato un buon talento nello strappalacrime Colpa delle stelle, si conferma un attore come di ottime capacità in un ruolo complesso soprattutto per la grande fisicità richiesta (pensiamo alla scena della fuga nel centro commerciale), Spacey nel parte perfido burattinaio è sempre una garanzia anche quando come in questo caso si prende poco serio, sebbene nella parte centrale della storia sia Jamie Foxx a rubare la scena al resto del cast. Piuttosto deludente, invece, l’ex Cenerentola Lily James, in un ruolo già di per sé alquanto improbabile a cui non riesce a dare alcuno spessore.
In conclusione, questo fratellino minore di Drive è un film divertente ma anche un noir di buona fattura e saper mettere insieme gli opposti è, fin dai tempi di Shakespeare, sinonimo di sicura qualità.